C’ERA UNA VOLTA UN PICCOLO PAESINO

C’era una volta piccolo paesino di nome Spilambergo, che si trovava nel mezzo di un lussureggiante paesaggio campagnolo, tra filari di viti e campi coltivati. Per arrivare al paesino si percorreva una strada lunga e tortuosa costellata da modeste casette, che sembravano affacciarsi sulla strada quasi come fossero di guardia per dare il benvenuto ai forestieri.

A Spilambergo non succedeva mai nulla: la quiete regnava indisturbata, mentre la novità era saggiamente tenuta all’esterno. Chi voleva modificare qualche abitudine era immediatamente emarginato, questo serviva anche a far perdere la voglia di fare qualcosa.

Al centro del paesino, sorgeva una piccola scuola e anche all’interno della scuola la comunità cittadina vigilava sull’integrità.

Tutto scorreva tranquillo, fino a che non si diffusero strane storie: nella scuola c’era qualcuno che non si convinceva a fare come tutti gli altri e che, anzi, ragionava con la propria testa. Una cosa inaudita e proprio per questo inaccettabile.

Un brutto giorno, al parco, le mamme tra loro svelarono tutte le malefatte. La mamma di Luigi raccontava: «Il mio bambino corre più veloce di tutti gli altri perché le sue maestre lo fanno correre molto. È senz’altro destinato a diventare un grande atleta!». La mamma di Pietro, che non voleva essere da meno, aggiunse: «Invece il mio figliolo fa dei salti così alti che nessuno degli altri bambini è capace di eguagliarlo. Sono sicura che è destinato a diventare un grande atleta!». Mentre la mamma di Luigi e la mamma di Pietro discutevano del brillante futuro dei rispettivi figli, la mamma di Giuseppe si sentiva sempre peggio e si domandava: «Il mio povero Giuseppe non può cimentarsi in tutte queste attività che gli assicurerebbero un radioso futuro, è costretto, suo malgrado, a leggere libri e a restare seduto!». Provava così tanta vergogna che non riuscì a proferire parola con le altre due mamme. Tuttavia, dopo qualche giorno, superato l’imbarazzo, finalmente la mamma di Giuseppe riuscì a trovare il coraggio di confidarsi con le due mamme amiche. Lo sgomento era al limite: cosa succedeva in quella scuola? chi si permetteva impunemente di fare diversamente?

Quando la notizia giunse alle orecchie del sindaco, il panico ormai era dilagato in tutte le case. L’animo del paese era decisamente scosso ed era quindi necessario un intervento per riportare l’equilibrio allo status quo originario.

Tutto il paese era unito massicciamente contro la minaccia: vennero escogitate diverse strategie perché il nemico era difficile da arginare, ma, persistendo nella battaglia, riuscirono finalmente ad ottenere la vittoria.

Al momento in cui il trasgressore fu costretto ad adeguarsi alle consuetudini secolari, tutta l’attenzione del paese si concentrava dentro quella scuola. Negli animi era tornata la serenità, l’inquietudine derivante dalla novità e dall’incerto era stata dominata.

All’ora X nel ritorno ufficiale alle abitudini, i poveri bambini, che fino a quel momento erano stati “costretti” a leggere, osservavano stupiti i compagni correre e scalpitare nella stanza. Dopo qualche minuto di riflessione, tutti gli spettatori furono molto meravigliati nel vedere quei “poveri bambini” sedersi su un tappeto a leggere libri. Nonostante il caos presente in quella sala, i libri continuavano ad essere per i piccoli lettori più interessanti di altre attività. Nonostante le pressioni e le opposizioni orchestrate dagli adulti, la scelta dei piccoli fu diretta e serena.

Questo piccolo paese, come ce ne sono altri, è molto lontano da ciò che la cifrematica definisce “comunità pragmatica”. Nella comunità di Spilambergo viene eliminata ogni novità, la legge è dettata dalla consuetudine che non viene messa mai in discussione.

La comunità fa cerchio, si richiude al suo interno, senza permettere a nulla proveniente dall’esterno di penetrare. La novità viene negata insieme all’occorrenza. Negata l’occorrenza, non c’è nessun incontro e l’Altro non è ammesso, ma viene rappresentato nel diverso. L’universo è finito ed è ordinato dai fantasmi di padronanza che infondono nella comunità una finta sicurezza. Per questo motivo viene visto come minaccioso chi vuole infrangere la linea piatta della quiete.

Tuttavia queste comunità, per quanto esistenti, sono destinate a estinguersi. Non è davvero possibile negare la novità e soprattutto l’inconscio, sarebbe come negare la vita.

Un paese ordinato nel modo sopra descritto è dominato dall’invidia sociale. Non è ammissibile che un individuo si distingua realizzando un progetto innovativo rispetto alle novità, perché l’invidia sociale non accetta differenze o iniziative. L’invidia sociale prescrive la pigrizia e accoglie chi cerca scusanti. L’invidia sociale è utilizzata per punire coloro i quali si allontanano dalla media e si distinguono lungo il fare.

Leggere questo racconto mi ricorda l’affermazione di Armando Verdiglione: «I bambini sono indice dell’infinito». Nei bambini non esiste il concetto di invidia sociale perché agiscono sempre secondo l’occorrenza e si dedicano con impegno alle loro attività. I bambini non si lasciano influenzare dal pregiudizio o dalle pressioni sociali, semplicemente agiscono e trovano soddisfazione in ciò che fanno. Un ottimo insegnamento di vita.

 

Elisa Melzani