L’ascolto

La mia esperienza si rifà ad un preciso ambito: quello dei bambini, il mondo della scuola. Sono un’educatrice, e di ascolto, tra le scuole e strutture varie se ne parla parecchio: questa sera mi piacerebbe fare la mia parte.

Ultimamente non si fa parlare d’altro che di crisi e di tagli al bilancio che vengono apportati nelle istituzioni scolastiche perché in effetti, purtroppo sovente, sono le prime a subire la detrazione in tempi di crisi.

Le direttive dal Ministero sono sempre più restrittive: l’educatore è costretto a fare delle scelte alternative esclusive. Non c’è abbastanza tempo, non c’è più tempo. Per ragioni economiche si è costretti ad eliminare alcune pratiche come l’appello, giudicato un’abitudine obsoleta, nonché un’inutile perdita di  tempo.

Dire non c’è tempo significa dichiarare guerra al tempo.

Questa corsa agli armamenti, al risparmio e alla produttività non può accorgersi del Taglio vero, quello ineliminabile, del tempo. Il taglio del tempo non deve essere significato come sottrazione, come eliminazione, ma come aggiunta: è la divisione, la distinzione e quindi la differenza.

La scuola che lotta contro il tempo elimina la differenza perché se le cose si distinguono facendo, è proprio il tempo che conduce alla differenza.

Se non c’è più differenza, la scuola si trasforma in una fornace, come un noto gioco per bambini: una fabbrica di mostri, individui standardizzati, ciascuno identico all’altro. Se non c’è differenza non c’è nemmeno novità.

Dove collocare allora i cosiddetti disturbi dell’apprendimento (DSA)? La legge n°170, dell’8 ottobre 2010 ha come oggetto le nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico. In questa legge si attesta e cito: “la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia sono disturbi specifici dell’apprendimento che si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche o di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana”. Già la sola necessità di individuare una materia legislativa specifica, ha già stigmatizzato questi “disturbi” come differenze, devianti dalla norma.

Le ultime ricerche statistiche dell’istituto MIUR denunciano un preoccupante aumento: nello specifico si tratta di un incremento dallo 0,9% del 2010/2011 all’ 1,2% del 2011/2012 della popolazione scolastica diagnosticata affetta da DSA.

In una scuola preoccupata dall’incalzare del tempo come possono trovare accoglimento bambini con DSA? E, Oltre a loro, anche il resto della popolazione scolastica.

Nessuna differenza, nessuna novità, nessun ascolto, nessuna crescita.

Sono convinta che gli educatori abbiano un’importante responsabilità nei confronti del bambino: il nostro impegno deve essere l’educazione alla felicità, al piacere.

Occorre innanzitutto ricordare che ciascuno è una novità, questo può avvenire ancora più facilmente per il bambino che è un’innovazione continua.

È la novità che aggiunge: come è molto facile supporre, è l’aumento che ci rende felici non di certo il sacrificio e la pena. Se però viene eliminata la differenza e la novità non c’è nessun aumento.

In aggiunta, occorre riconoscere che una proposta siffatta non è per nulla rivolta a tutti come è stato anche sancito giuridicamente. Si tratta di un tutti come tutt’uno che vale uno. Questo si che è davvero un mostro.

Franco Frabboni nel ‘94 collega l’educazione alla felicità indissolubilmente al principio della singolarità: “Sembra essere per l’uomo e per la donna, l’ultimo baluardo di difesa della felicità in una stagione della globalizzazione, che sta capeggiando da totem infallibile di identificazione”. Sinonimo di singolarità sono unicità, differenza e novità. Essere un pezzo unico, insostituibile, non uno tra tanti.

Allora qual è la via della singolarità, della felicità?  La via dell’ascolto è la via dell’unicuum, come afferma Verdiglione nel suo intervento all’interno del numero della rivista cifrematica “L’ascolto”.

Si può a questo punto affermare che la via della singolarità e dell’unicità passa per l’ascolto.

Più che da quel che si dice, l’ascolto viene da quel che si fa. Ecco di nuova sancita l’origine della differenza nel tempo e nel fare. Nel taglio del tempo.

È necessario allora ritrovare il tempo per alcune pratiche ritenute obsolete ma che forse hanno ancora una valenza simbolica importante, come ad esempio l’Appello. L’appello inteso non come mera ripetizione di un elenco ma come dispositivo per l’instaurazione della funzione di nome. Come descrive il filosofo Sini, le alternative e le differenze si creano con il nome perché il nome costituisce il primo contrassegno che fa accadere il taglio.

In aggiunta, credo che l’educatore debba dedicare molto più tempo alla pratica dell’ascolto: all’esercizio, all’allenamento e all’insegnamento di questa. Forse, piuttosto che seguire alla lettera serissimi protocolli, qualche volta è molto più efficace focalizzarsi sul principio della singolarità e dell’educazione alla felicità.

Concludo citando nuovamente Armando Verdiglione, “la via dell’ascolto è la via della gioia”.

 

di Elisa Melzani